I Governi si susseguono rassicurando la popolazione, continuando a ribadire che la crisi sta scemando, ma i numeri non continuano ad essere cosi rassicuranti: sulla base dell’indagine dell’Ufficio della Cgia nel 2015 le imprese attive sono calate di quasi 22.000 unità, se invece confrontiamo il numero con inizio crisi del 2009 il numero di unità è crollato di 116 mila attività. Ad oggi le attività sono scese sotto le 1.350.000 unità, con deciso calo Sardegna (-14%), Abruzzo, Basilicata e Sicilia. Nel dettaglio in Italia ci sono stati movimenti per quanto riguarda:
Il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo commenta il report «a differenza degli altri settori economici l’artigianato è l’unica categoria economica che continua a registrare un netto calo delle imprese attive; infatti, guardando alle imprese non artigiane solo l’agricoltura e l’estrazione di minerali evidenziano una flessione nell’ultimo anno».
Ma quali sono i motivi di questa devastazione? In primis il peso enorme della pressione fiscale e l’aumento vertiginoso del costo degli affitti hanno messo in ginocchio numerose attività, ma non solo. L’arrivo delle nuove tecnologie ha rimpiazzato moltissime attività (sopratutto quelle caratterizzate da una percentuale di forza lavoro manuale elevata). Le conseguenze sono maggiore disoccupazione, maggiore disagio sociale per il quartiere dove la stessa attività ha chiuso i battenti oltre che aumento della minicriminalità.
Molte sono le professioni che sono già andate in soffitta o quelle che lo faranno da qui nei prossimi decenni: quali in particolare? Possiamo stilare un piccolo elenco per ordine di impatto negativo: